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«Le donne e le ragazze con disabilità sono uguali davanti alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad uguale protezione ed uguali benefici della legge. È vietata ogni discriminazione in base alla disabilità e al sesso, tenendo in considerazione che l’intersezione di entrambi i fattori provoca un effetto esponenziale nelle disuguaglianze, rendendo così necessario garantire una protezione efficace contro la discriminazione in tutte le aree della vita.»

Così cita il Secondo Manifesto sui Diritti delle Donne e delle Ragazze con Disabilità nell’Unione Europea, utilizzato nel 2011 durante l’assemblea generale del Forum Europeo sulla disabilità. Così è come dovrebbe essere. Così è come ogni essere umano avrebbe il diritto di sentirsi, sicuro nella tutela del suo essere e nella sua uguaglianza. Ma in fondo cos’è “l’uguaglianza”? È semplicemente un termine per il quale popoli e generazioni stanno combattendo da anni, termine che poi è diventato mano mano un concetto, un’ideologia, un modus vivendi.

E se ancora così non fosse? Il nostro paese non è di certo il più aggiornato rispetto a questo argomento, sebbene i dati statistici dimostrino un elevato numero di persone disabili sul nostro territorio. Perché è proprio sulla disuguaglianza verso i disabili che si concentra oggi il nostro focus. In base a quanto riportato dalle ricerche ISTAT del 2019, si parla di 3,1 milioni di persone disabili in Italia, circa il 5,2% della popolazione. E di questi, il 60% è composto dal genere femminile.

Chi sono i disabili?

Con la definizione “disabile” si intende qualsiasi persona con minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali, a lungo termine. Persone che, interagendo con diverse barriere, possono veder limitata la loro effettiva e piena partecipazione alla vita di tutti i giorni, in una società che dovrebbe essere basata sull’eguaglianza con gli altri. Si tratta di una limitazione insita nel sistema e nell’organizzazione delle istituzioni. Si può parlare di welfare nel momento in cui le ragazze disabili sono giovani e appartengono ancora al proprio nucleo familiare. Il periodo che intercorre dall’asilo al liceo. In questo lungo periodo, le persone disabili godono di una discreta inclusione sociale: frequentano i corsi rapportandosi normalmente a maestre, professori e compagni di classe, riuscendo ad assaporare quel senso di normalità e di uguaglianza che li circonda. Tuttavia, nel 2016, i dati ISTAT dichiaravano che, della categoria femminile, il 17,1% di loro non riusciva a raggiungere il diploma.

Lavoro: esclusione e discriminazione

Il vero disagio, però, nasce nel momento in cui le ragazze con disabilità escono dal sistema scolastico, cioè da quell’inclusione sociale di cui parlavamo, ed entrano in una totale dissolvenza. Dopo le scuole i disabili scompaiono, è come se, non sapendo cosa fare e dove andare, trovassero il loro posto nel mondo esclusivamente in casa propria. Discorso che vale sia per gli uomini che per le donne ma, per questa seconda categoria, risulta ancora più difficile emergere.

In Italia esiste un collocamento mirato per i disabili al quale possono iscriversi per effettuare più facilmente ricerche di lavoro. Inoltre, ad oggi, le aziende sono obbligate ad assumere dei diversamente abili all’interno del proprio personale, a seconda della grandezza dell’azienda. Sebbene il nostro Paese stia lavorando affinché si possa smettere di parlare di disuguaglianze, nella ricerca di un lavoro, emergono altre discriminazioni.

Le ragazze diversamente abili appaiono decisamente svantaggiate, e sono i numeri a parlare! Pare che, tra maschi e femmine impiegati con disabilità, ci sia una differenza del 17,4% in Italia, cioè di questi, solo il 27% dei lavoratori è donna. Donna che, ha trovato a fatica un impiego, perché costretta ad affrontare una serie di difficoltà connesse alla variabile discriminatoria della sua disabilità: una vera e propria discriminazione nella discriminazione, come se ci si trovasse in un loop senza fine. Per non parlare delle difficoltà legate alle mansioni e agli spazi inappropriati del proprio posto di lavoro.

Donne tra disabilità e maternità

E come per ogni donna, finalmente arriva quel giorno: il giorno in cui si decide di avere un figlio, di affrontare i 9 mesi più belli della vita per dare alla luce un nuovo, piccolo essere umano. Quale donna rinuncerebbe ad un momento così speciale? La stessa identica felicità, infatti, risiede in ogni donna, anche in quella con disabilità. L’unico problema è che intorno a questo argomento, molto spesso, si alzano polveroni densi di ignoranza e pregiudizi. E il più delle volte, i primi cenni di incomprensione arrivano proprio dalle persone più vicine che, conoscendo la situazione, non capiscono come una donna con disabilità possa decidere di aggiungere altre difficoltà ad una quotidianità che già non è facile di per sé. Solo perché una donna convive con delle abilità limitate, si crede che per lei non possa esistere una gioia simile.

L’essere disabile, purtroppo, è considerato un fattore discriminatorio su molti fronti, ma un atto così unico come la maternità non può esserne intaccato. Anche per le ragazze disabili è un momento di gioia e, così come vale per ogni altra mamma, sono necessarie parecchie attenzioni e cure, in cui la gravidanza rappresenta solo il punto di partenza.

Audiolibri per le neo mamme

Un’iniziativa interessante è quella della UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti). Grazie al loro impegno, infatti, di accordo con La Leche League Italia, associazione che opera a sostegno delle mamme che desiderano allattare, è stata realizzata una versione audio del manuale “L’arte dell’allattamento materno”. Questa nuova edizione, è distribuita gratuitamente proprio alle neo mamme cieche o ipovedenti, e ai familiari, a dimostrazione che non bisogna mai perdere la fiducia, sebbene il contesto italiano, per quel che concerne i servizi per la salute sessuale e riproduttiva delle donne con disabilità, lasci parecchio a desiderare.

Sfatiamolo questo tabù di discriminazione verso i disabili! Che sia possibile affrontare un impegno a vita di questa portata, o meno, è una decisione che compete agli specialisti e al medico di fiducia, figura con la quale, la donna, potrà confrontarsi e valutare ogni possibilità, affrontando di giorno in giorno le varie difficoltà. Proprio come ha sempre fatto sin da piccola. Sempre e solo guidata da quella forza che, nonostante i pregiudizi, l’ha sempre contraddistinta. E si sta parlando di forza non solo fisica, ma anche, e soprattutto, di volontà.